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Viaggio

‘Lunga e diritta correva la strada’… chissà perché tutte le volte in cui affrontava un viaggio in auto da sola le parole di questo vecchio pezzo di Guccini le salivano alle labbra.  Jenny sorrise, pensando che nessuno si sarebbe mai aspettato da lei che conoscesse questa musica un po’ “retrò” – come l’aveva definita Paul una volta.  I suoi pensieri furono interrotti dall’allarme del limitatore di velocità. Era veramente fastidioso, ma, per evitare noie, lo aveva lasciato di proposito tarato sui 130 km. Rallentò, nonostante sapesse bene che tra poco avrebbe suonato nuovamente. L’autostrada era veramente ‘diritta’ e oltretutto completamente vuota anche se erano solo le dieci di sera. A lei piaceva correre in auto. E poi aveva fretta. Non voleva aver tempo di pensare.

 

‘ti voglio incontrare’

‘non credo sia una buona idea’

‘perché?’

‘perché  ….’

Come sempre Jenny non riusciva a trovare la risposta adatta. Poteva opporre tutte le ragioni di questo mondo, ma lui, sin dalla prima volta, le aveva sempre risposto con motivi altrettanto ragionevoli.

Era nato tutto per gioco quasi un anno prima. Una mail di lavoro, a cui aveva risposto, una conoscenza fatta al telefono, e poi quel ‘cliente’ iniziò a chiamare sempre più spesso. E da cosa era nata cosa, le telefonate prendevano spunto da necessità di lavoro e si finiva per parlare dell’ultimo fine settimana, o del film appena uscito, delle letture che piacevano ad entrambi. Poi un giorno lui le fece una proposta di lavoro veramente allettante. Era sempre stata uno spirito libero, l’unica cosa che la impigriva era il suo lavoro. E si era detta “perché no? Tanto sarà solo una scusa…” e gli aveva inviato il suo curriculum. A cuore perso. Passare dal suo settore ad una casa editrice era un salto troppo grande pure per lei. Ma lo aveva fatto, colpa della solita vocina che le suggeriva sempre di sfidare la sorte.

 

‘Lunedì c’è una riunione dei redattori. Ho sottoposto il tuo curriculum e vorrei ti presentassi per un colloquio.’

‘Va bene. Mandami le indicazioni per raggiungerti’

Evidentemente Paul l’aveva sentita decisa. E aveva giocato la sua carta.

‘Potresti partire venerdì sera, così abbiamo tutto l’weekend per stare insieme. Per conoscerci e passare due giorni di relax. Ho il posto ideale. Tu porta il costume da bagno. Ce ne andiamo alle terme’

 

Non aveva avuto scelta. Paul non le aveva dato il tempo di pensare.  O almeno, così si assolveva dopo. Aveva solo detto sì. E ora stava correndo da Paul.  Non aveva il GPRS in auto, non le era mai piaciuto. Sul sedile a fianco una piantina scaricata da Google Maps e le indicazioni che lui le aveva dato per telefono. Nel bagagliaio il beauty case ed una piccola sacca. Lo squillo del cellulare nell’auricolare ed una voce:

 

‘dove sei? Ho deciso di venirti incontro al casello dell’autostrada, così sono sicuro che non ti perdi’

‘sono a 30 km dall’uscita dell’autostrada che mi hai indicato tu. Tranquillo, io non mi perdo mai’

‘sono tranquillissimo. E’ solo una scusa. Sento che devo vederti prima che tu ci ripensi’

 

La sua risata al telefono era contagiosa.  Jenny controllò il contachilometri e la lancetta che saliva oltre i 130. L’allarme del limitatore iniziò a suonare e lei alzò il volume dell’autoradio…  

 

‘sì, saranno davvero due giorni di relax’

si ripetè con un sorriso…

 

foto3

 

[‘le strade di Jenny’ …]

 

 

PS. questo post lo dedico a Fabrizio. Vanno bene questi sogni??? Sorriso

 

 

 

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Sogno

Perché le celluline grigie non si fermano mai? Perché non smettono di ballare il rock and roll nella mia testa? Non riesco a smettere di pensare, anche se lo vorrei con tutte le mie forze. Riesco solo a premere il tasto PAUSA, ma quello dello STOP proprio no, non mi funziona. Anzi, dopo la pausa, la velocità raddoppia, come a voler recuperare il tempo perduto.
Penso a ciò che mi circonda, al mio lavoro, alle persone che attraversano il mio cammino, penso ad azioni e reazioni fuori dal mio controllo, a come vorrei la solita bacchetta magica per mettere ordine e far sparire ciò che non mi piace. Penso… e ovviamente non trovo via d’uscita. Sono arrabbiata, delusa, triste, confusa, ed a quel punto c’è una manina che preme il mio tasto PAUSA. E la musica si ferma: silenzio finalmente. Poi un rumore… prima lieve e quasi impercettibile, poi sempre più forte: è una risata. La mia. Sempre più gioiosa, quasi sguaiata.
 
Cambia il quadro e vedo una porta. La apro e davanti a me c’è un enorme salone dove le persone sono tutte ferme, cristallizzate nei movimenti come un fermo immagine: chi gesticolava ha le mani a mezz’aria e la bocca semiaperta, chi era seduto e tentava di alzarsi è fermo in una stranissima posizione, in un angolo due ragazzi che si stanno abbracciando, incollati da un bacio. E io inizio a girare, non vista tra questa umanità variegata, con gli occhi curiosi di una bambina che entra nel mondo dei grandi. Guardo, vedo, frugo tutti gli angoli con i miei occhi: ai lati, dove c’è più buio ci sono bambini scalzi che mendicano, un vecchio seduto per terra con a fianco un cartello ‘fate la carità’ e nella tasca del vecchio cappotto sdrucito, una bottiglia di vino col tappo di sughero.
 
Poi realizzo: qualcuno ha fermato la musica per mostrarmi come sarebbe assordante il silenzio. Nemmeno lo squillo di un cellulare. Esco di corsa dal salone a cercare la vita.
 
Anche fuori tutto è fermo, macchine con i guidatori che sostano in mezzo alla strada, solo i semafori continuano la loro vita verde giallo rosso e di nuovo verde giallo rosso. I pedoni all’angolo della strada attendono di attraversare ma quando la scritta indica AVANTI nessuno muove un piede.
 
Va bene penso, mi avete fermato la musica, ma la natura continua a vivere e ve lo dimostro. Ed inizio a correre verso il mare.

Ma arrivata al mare crollo in ginocchio. La risacca è ferma. La schiuma del mare è come polistirolo. Nulla muove più. Solo io sono viva. Prendo la sabbia e mi scivola dalle dita. Solo io e la sabbia. Ma non il mare…
 
E la mia mano torna verso l’interruttore… e fa ripartire la musica…

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C’era una volta un gomitolo…

E’ un bel gomitolo, lana grossa, simpatica, da lavorare con aghi del 7, lana che ti scalda solo a vederla e con cui non fai fatica a far crescere il lavoro.
Ma.., come sempre c’è un “ma”…  è un po’ matto: non gli piaceva il suo colore originale e quindi aveva voluto diventare Mélange. Avete presente tutti quei bei puntini colorati che fanno tanta allegria? Ecco, lui è così. Ha sempre odiato il grigiore, la monotonia, la ‘normalità’, ama essere notato, e poi ama i colori, tutti, nessuno escluso, e avere tutti quei puntini lo aiutano a parlare con tutti.
In origine non era solo, ma i suoi fratelli sono ormai partiti da tempo, usati per fare un maglione tipo irlandese, tutto lavorato,  e ora resta solo lui nella cesta. Certo non è lì da solo, ma gli altri gomitoli sono un  po’ diversi da lui. Ci sono tanti gomitolini di quel filato nero ritorto, sottile sottile, da sembrare quasi anoressico, che si fa fatica a lavorare con i ferri del 2 e non cresce mai (e forse è per questo che non gli fanno mai fare nulla!), poi c’è un vecchio gomitolo di mohair giallo oro, tanto vecchio da avere la barba, dell’angora mista nei colori pastello, ed un prezioso ma scostante gomitolo color lilla col filo misto seta, che se la tira così tanto e non parla mai con nessuno! Mélange invece è sempre stato un gran chiacchierone: gli piace la compagnia, non ha pregiudizi di colore, di lingua, di razza e di grandezza. Solo che ogni tanto cade in depressione. Eh sì… deve sempre essere impegnato in qualcosa Mélange e odia starsene rintanato sul fondo della cesta. Quando vede arrivare la mano della signora Luisa che fruga nella cesta, Mélange cerca anche di saltare per essere preso al volo! E invece niente… ‘no, tu no.. sei troppo grosso…’ oppure ‘no, qui mi serve della lana tinta unita’ e lui giù di nuovo sul fondo.  Ma come tinta unita?!?!? Ma cosa c’è di più bello dei colori?? Le tinte unite sono tristi, monocordi… Lui no, ha sempre un colore che sta bene con l’altro… Non riesce a capire… Così passano i giorni, tristi, vuoti e tutti uguali. A volte lo spostano per fare pulizia e allora ne approfitta per srotolarsi un pochino… si sgranchisce un po’ … ma è una cosa che dura poco. Se ne torna al suo posto, lì in un angolo, a guardare gli altri che partono, o quelli nuovi che arrivano. Ecco con quelli nuovi  Mélange si trova bene e con loro stabilisce subito un bel rapporto. Sono proprio  loro che per primi gli chiedono informazioni  ‘ciao… che carino che sei! È tanto che sei qui? E dimmi un po’, come si fa ad essere lavorato bene?’ Alcuni poi arrivano anche ad invidiarlo. Come quel gomitolo color malva scuro (poverino… era così triste e ne aveva tutte le ragioni a dire il vero…) che gli diceva ‘certo che tu sei fortunato… hai tanti colori e sei così facile da lavorare… vorrei essere come te…’ e il giorno dopo se ne andò – lui – per fare il bordo ad un giaccone di renna.
E poi il fortunato era Mélange…
 
Mélange è un gomitolo che ama la primavera e l’estate e il mare (è per questo che ne ha preso anche qualche sfumatura), ma sa bene che non sono le sue stagioni: lui fa soffocare. E’ troppo caloroso… E allora giù, sempre sul fondo della cesta, aspettando l’inverno…
 
E cosa può fare lui se non solo sognare?… “Chissà, magari la signora Luisa potrebbe usarmi  per fare una calda sciarpa… così potrò andare a spasso su tutti i cappotti ed i giacconi… mi porteranno magari in montagna … e allora sì che sarò felice… anche se il mio sogno rimane il mare…” Ma l’inverno è ancora lontano.
 
 
E Mélange, tutto raggomitolato, si rimette in un angolo della cesta e si richiude in se stesso…  

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L’ombrellaio del tempo

E con il periodo autunnale, si riprendono le vecchie abitudini. Tra queste, quella di navigare alla ricerca di nuovi contenuti e nuovi spaces, che possono arricchire le nostre conoscenze e allo stesso tempo farci passare momenti di relax leggendo belle storie.
La mia ricerca è stata premiata da questo brano che vi propongo, di cui conosco l’autore originario, un ragazzo sincero e sensibile, che si è recentemente aggiunto tra le mie conoscenze, e che ho ovviamente incluso tra i miei punti fermi di lettura ‘quasi’ quotidiani.
 
 
L’OMBRELLAIO DEL TEMPO
 
L’ombrellaio del tempo camminava nello stretto viottolo del bosco..
Il suo passo era lento, stentato, pesante, faticoso. Ogni tanto incontrava dei sassi, di tanto in tanto riusciva a distinguerli dal marrone della terra, altre volte invece inciampava e cadeva rovinosamente ferendosi. Il temporale non smetteva mai, anche il freddo era incessante. L’ombrellaio era vestito di stracci, ogni goccia che cadeva era per lui come una spina che si conficcava nella sua carne.
 
Davanti a sé non vedeva null’altro che alberi scuri e terra, gli unici colori che distingueva erano il nero e il grigio. Provava a spingere il suo sguardo oltre ma i suoi occhi non riuscivano a scorgere null’altro. Il suo viso era triste. Nella sua tasca sdrucita teneva soltanto un ago e un filo. Quando la pioggia si tramutava in grandine e la sua forza gli bucava l’ombrello, egli si fermava sotto ad una pianta per ricucirlo. Più strada faceva e più era difficile ripararlo, i buchi erano sempre più grandi, la stoffa era logora e consumata.
 

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Quel bosco sembrava non finire mai, non riusciva neppure a comprendere da quanto tempo stesse camminando.
 
Un giorno l’ombrellaio udì un sordo rumore e d’impeto si girò guardando per la prima volta alle sue spalle. Una strada luminosa e lunghissima gli apparve, i suoi occhi sembravano vedere oltre l’impossibile. Gli alberi erano verdi e il sole li riscaldava, gli uccellini cinguettavano allegramente e una famigliola stava facendo un pic-nic. Vi erano dei bambini che giocavano e sorridevano, correvano dietro ad un pallone, si nascondevano per ritrovarsi. L’ombrellaio si stropicciò gli occhi. Non aveva mai visto tanta allegria nel corso del suo cammino. Provò a spostarsi nella direzione opposta ma le sue gambe non riuscirono ad avanzare neppure di un passo. Si sentì disperato al pensiero di dover riprendere il suo viaggio nella tristezza più assoluta, immerso dalla pioggia, dal grigiore, da assurdi pensieri che gli incutevano timori e preoccupazioni d’ogni genere. Pianse e si sdraiò ai piedi di un albero. La stanchezza era così forte che si addormentò.
Una fanciulla vestita d’azzurro gli posò la sua mano sulla spalla. L’ombrellaio aprì gli occhi e la guardò. Quella luce quasi lo accecò, tanto era splendente.  La fanciulla gli disse:
 
Non puoi tornare nel passato e non puoi guardare oltre il sentiero. Nessuno però può vietarti di cambiare strada, di provare a girare a destra o a sinistra. Certo, non potrai essere certo che il tuo percorso andrà meglio ma potrai divenire artefice del tuo domani, scegliendo il tuo presente”.
 
L’ombrellaio di colpo si svegliò. Aveva sognato. Fu tentato di guardare ancora indietro ma decise di resistere. In fondo i ricordi sono da conservare ma la felicità non può essere data da qualcosa che non c’è più. E poi, pensò, forse a volte i ricordi ci sembrano perfetti ma non lo sono stati veramente. Quando la nostra mente viaggia nel passato è perché il presente è troppo cupo avvilente!
 
Così si alzò. Guardò il cielo, la pioggia ricominciò a cadere all’impazzata, dei tuoni fortissimi esplosero sulla sua testa, ma l’ombrellaio del tempo decise di smettere il suo mestiere. Buttò via l’ago e il filo, gettò via il suo ombrello, portò via i suoi piedi dal sentiero e cominciò a correre in mezzo all’erba, svoltando mille volte e cambiando tracciato ogni volta che sentiva istintivamente di volerlo fare. Mentre correva smise di piovere, egli incrociò per la prima volta l’arcobaleno e restò incantato e meravigliato da questa nuova scoperta. Quell’insoddisfazione che lo accompagnava da sempre fu scalzata da un nuovo trasporto sconosciuto, quello per la vita. Certo, ogni tanto di sicuro sarebbe ricaduto in qualche buca e sarebbe stato tentato di ricercare il vecchio ombrello, per ripararsi dalla pioggia. Tuttavia avrebbe resistito, perché era giunto alla conclusione che solo  con una buona dose d’audacia avrebbe potuto poi disporre dei mezzi per soddisfare i suoi bisogni e rallegrare il cuore.
 
 
 
(da http://bismas.splinder.com )  
 
 
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Per chi crede ancora alle favole ai sogni ed ai miraggi…

In questi giorni di tempo caldo e afoso, ricordo con la mia solita nostalgia i viaggi nelle Terre dei deserti.
Con nostalgia per il tempo che passa, ma anche perchè proprio nei deserti arabi ed africani l’umidità è più bassa ed il tempo caldo molto più sopportabile.
 
E ripensando al mio breve soggiorno a Dubai nel maggio di 8 anni fa, ricordo che non capivo come potessi sopportare tranquillamente i 45° costanti!!!
 
 
Poi, per dirla con le parole della mia ‘nipotina virtuale’ Cucciola Will,  
 
< la zia anche a Dubai ha fatto un po’ la matta>…
 
Certo che sì,  è andata a fare il DUNE-ROLLER con la jeep nel deserto… 
 
E dopo una giornata sulle dune del Deserto Rosso ai confini con l’Oman, siamo stati portati ad un "accampamento" nel deserto.. ovviamente finto, pro-turisti , però ricordo che la guida aveva iniziato a raccontarci una leggenda sulla nascita del deserto, che mi aveva affascinato per l’atmosfera che aveva creato nel nostro gruppo.
 
Stasera navigando in rete, l’ho ritrovata e ve la voglio raccontare:
 
 
 

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Molti secoli fa, che ci crediate o no, la terra era verde e fresca, migliaia di ruscelli la percorrevano, gli alberi erano ricchi d’ogni genere di frutta e gli uomini, che ignoravano il male, vivevano felici senza farsi la guerra.

Allah aveva detto agli uomini:

"Questo bel giardino è vostro e vostri sono i suoi frutti, dovete però sempre agire con giustizia, altrimenti lascerò cadere un granello di sabbia sulla terra per ogni vostra azione malvagia e un giorno tutto questo verde e tutta questa frescura potrebbero anche sparire".

Per molto tempo tutti si ricordarono di questo monito, ma un brutto giorno due uomini litigarono per il possesso di un cammello e appena la prima parolaccia fu pronunziata Allah fece cadere sulla terra un granello di sabbia così minuscolo che nessuno se ne accorse.

Ben presto i due litiganti dopo le male parole vennero alle mani e gli uomini si accorsero che un mucchietto di sabbia stava crescendo lentamente. Chiesero allora ad Allah di cosa si trattasse e Allah rispose che era il frutto della loro cattiveria e che ogni volta si fosse verificata una cattiva azione, un granello di sabbia sarebbe sceso ad aggiungersi agli altri e forse un giorno la sabbia avrebbe coperto la terra.

Gli uomini si misero a ridere e pensarono:

"Anche se fossimo estremamente malvagi ci vorrebbero milioni e milioni di anni prima che questa polvere leggera copra la nostra terra e ci possa danneggiare".

Così iniziarono a combattersi gli uni contro gli altri, tribù contro tribù, finché la sabbia seppellì campi e pascoli, cancellò i ruscelli e spinse le bestie lontano in cerca di cibo. In questo modo fu creato il deserto e da allora le tribù andarono vagando tra le dune, vivendo in tende, aiutate solo dai cammelli per i lunghi spostamenti, e si portarono nel cuore l’immagine delle terra perduta. Anzi, perché non dimenticassero, Allah volle che ogni tanto si presentasse ai loro occhi l’immagine delle piante e delle acque scomparse.

Per questo ogni tanto chi cammina nel deserto, vede cose che non ci sono, tende le braccia per toccarle, ma la visione subito svanisce. Sono come i sogni ad occhi ad aperti e la gente li chiama miraggi.

Solo dove gli uomini hanno osservato le leggi di Allah ci sono ancora ruscelli e palmeti, e la sabbia non può cancellarli ma li circonda come il mare l’isola. Questi luoghi si chiamano oasi e là gli uomini si fermano per trovare acqua, cibo e riposo, ricordando ogni volta le parole di Allah:

"Non trasformate il mio mondo verde in un deserto infinito".

 
 
 
 
 
PS. Grazie a Fabione per avermi fatto scoprire delle musiche molto belle  (che non è quella di Sting… eheheh)  e la cui sonorità era cosi in tema che alcun brani li ho subito inseriti nella Playlist che state ascoltando!